Il sangue indica la presenza del morbo di Alzheimer
Dopo numerose ricerche condotte in questo ambito, un nuovo studio conferma il ruolo strategico che un semplice test ematico può ricoprire
È la più comune causa di demenza, pari al 60% di tutti i casi. La malattia di Alzheimer è un processo degenerativo che colpisce gradualmente e progressivamente le cellule cerebrali: le conseguenze di questa condizione sono la riduzione delle funzioni cognitive accompagnata dal deterioramento della personalità e delle capacità relazionali. Non colpisce solo persone in età avanzata, ma può manifestarsi precocemente anche tra i 30 e i 60 anni.
Sia a livello globale che nazionale, la demenza rappresenta una vera e propria priorità in termini di sanità pubblica, con oltre 50 milioni di pazienti coinvolti nel mondo e circa un milione e 400mila in Italia (di cui oltre 600mila con Alzheimer). Pur avendo una progressione di velocità variabile, la malattia oggi comporta un’aspettativa media di vita dai 3 ai 9 anni dalla diagnosi. Stime ufficiali non solo dell’Istituto superiore di sanità, ma anche di associazioni impegnate nella ricerca su questa patologia, dicono che a causa dell’invecchiamento della popolazione entro il 2050 una persona su 85, a livello mondiale, sarà affetta da demenza, con un coinvolgimento di circa 130 milioni di soggetti. Agire per individuare strumenti di diagnosi precoce e di trattamento è quindi, mai come oggi, prioritario.
Se già precedenti studi si erano concentrati su questo tema, nei giorni scorsi ne è stato pubblicato un altro su Alzheimer’s Research & Therapy che ancora una volta conferma il ruolo strategico del sangue come alleato della ricerca. Un team di scienziati dell’università dell’Hokkaido e di Toppan, infatti, è riuscito a sviluppare un metodo di analisi per valutare l’accumulo di amiloide β (Aβ) nel cervello grazie a un semplice prelievo ematico. L’amiloide β è una proteina che ha il compito di stimolare la crescita cellulare e rappresenta uno dei marcatori per la diagnosi della malattia di Alzheimer nel caso i suoi valori nel liquido cefalo-radichiano risultassero bassi. Un eccesso di concentrazione nel sangue comporta la formazione di placche a livello cerebrale, una condizione che può essere diagnosticata in anticipo rispetto al manifestarsi dei primi sintomi neurologici.
Il lavoro precedente aveva dimostrato che l’accumulo di questa proteina nel cervello era associato a esosomi (vescicole extracellulari che svolgono ruoli importanti nella comunicazione cellula-cellula) leganti l’amiloide stessa, secreti dai neuroni, che si degradano e trasportano l’amiloide β alle cellule microgliali del cervello. Il secondo step è stato quello di adattare il Digital Invasive Cleavage Assay, un sistema di indagine basato su una tecnologia particolarmente sensibile, per quantificare la concentrazione di questi esosomi in appena 100µl di sangue. Il dispositivo cattura molecole e particelle una-per-una in un campione, in un milione di pozzi microscopici di dimensioni micrometriche su un chip di misurazione, e rileva la presenza o l’assenza di segnali fluorescenti emessi dalla scissione degli esosomi.
E proprio questa scissione, secondo i ricercatori, sarebbe la conferma dell’influenza generata sull’accumulo di amiloide nel cervello. Una strategia che potrebbe aprire le porte al suo utilizzo anche per altre patologie.